Dopo una lunga fase di globalizzazione durante la quale la Cina e altre economie emergenti hanno conquistato un peso crescente nell’economia mondiale, l’Italia dimostra di aver mantenuto una posizione rilevante nello scenario manifatturiero internazionale. L’analisi dei dati della comparazione della Banca Mondiale, effettuata dal Centro Studi di Confartigianato Imprese, indica che il nostro Paese è la settima economia manifatturiera nel mondo, dietro a Cina, Stati Uniti, Giappone, Germania, Corea del Sud e India. Per valore aggiunto realizzato dalla manifattura, l’Italia supera Regno Unito, Francia, Messico e Brasile, Indonesia, Federazione Russa, Canada e Spagna. I primi sette paesi manifatturieri realizzano i due terzi (65%) del valore aggiunto mondiale del settore mentre i primi quindici cumulano oltre tre quarti (77,8%) della creazione di valore della manifattura mondiale.
L’andamento del valore aggiunto dal 2007 a oggi
Entrando nel dettaglio per il Manifatturiero si evidenzia che, prendendo come riferimento l’anno 2007, il valore aggiunto ha toccato il minimo in tutti i principali Paesi dell’Unione Europea nel 2009, a eccezione della Spagna dove ciò è successo nel 2013. Nel dettaglio si osserva che i livelli più bassi sono stati raggiunti da Italia e Germania, i due principali Paesi manifatturieri europei. Successivamente, il valore aggiunto del settore manifatturiero ha registrato una ripresa generalizzata e nel 2018 l’Ue supera il livello pre crisi del 10,6%: fanno meglio la Germania, con il +16,6%, e la Francia, che si trova sul +2,6%, mentre gli altri principali Paesi europei risultano sotto livello, con l’Italia che registra la performance peggiore (-5,8%), preceduta dalla Spagna (-3,2%) e dal Regno Unito (-2,2%).
Nel 2018 il valore aggiunto del Manifatturiero dell’Unione supera il livello del 2013 del 16,9%, valore sorpassato solo dalla Spagna con il +18,8% e dalla Germania con il +17,2%; l’Italia supera il livello del 12,1% seguita dal Regno Unito con il +6,4% e dalla Francia con il +6,2%.
La manifattura italiana e i caratteri di basso contenuto tecnologico
Dal più recente Rapporto sulla competitività dei settori produttivi (Istat, 2019), si evidenzia che “la manifattura italiana continua a caratterizzarsi per la prevalenza di unità a contenuto tecnologico basso o medio-basso”. Infatti, “tra il 2013 e il 2016 i segmenti a tecnologia alta e medio-alta hanno sperimentato una selezione particolarmente severa, evidenziata dalla perdita, rispettivamente, del 13,9 e del 13,0 per cento di imprese, a fronte di un incremento di valore aggiunto pari al 10,3 e 12,1 per cento.
Gli aumenti più ampi di valore aggiunto si registrano tuttavia tra le imprese dei settori a intensità tecnologica medio-bassa (+14,5 per cento). “Sono proprio le attività industriali a tecnologia bassa (quali tessili, abbigliamento, pelli, legno, mobili) o medio-bassa (quali metallurgia, prodotti in metallo, prodotti da minerali non metalliferi) a occupare posizioni centrali nell’attivazione di produzione di beni e servizi, influenzando in tal modo la capacità dei sistema di trasmettere conoscenza e tecnologia tra i settori produttivi italiani”.
L’analisi per settore evidenzia che nel 2018 sette settori crescono ad un ritmo superiore alla media: si tratta di Riparazione, manutenzione e installazione di macchine e apparecchiature con il +7,9% (meglio rispetto al +6,0% registrato nel 2017), seguita da Articoli in pelle e simili con il +3,5%, Macchinari ed apparecchiature con il +3,1% e Altre industrie manifatturiere con il +2,6%. Bene anche Prodotti in metallo con il +1,3%, Alimentare con il +1,1% e Abbigliamento, confezione di articoli in pelle e pelliccia con il +1,1% (in controtendenza rispetto al -5,6% rilevato nel 2017).
L’innovazione come fulcro della crescita delle micro e piccole imprese del Manifatturiero
Il mix di concorrenza internazionale e digitalizzazione dei processi produttivi ha visto aumentare la presenza di piccole imprese innovatrici e della relativa spesa orientata all’innovazione, la quale presenta un ritmo di crescita superiore a quella delle imprese medio-grandi. In particolare, l’analisi effettuata dal Centro Studi di Confartigianato Imprese dei recenti dati pubblicati dall’Istat, evidenzia che nel triennio 2014-2016 il 45,6% delle piccole imprese ha svolto attività finalizzate ad introdurre innovazioni di prodotto o processo e ha introdotto innovazioni organizzative o di marketing, segnando un aumento di 4,3 punti rispetto al 41,3% rilevato due anni prima. In termini dinamici le piccole imprese innovatrici sono cresciute del 15,3% nel biennio 2014-2016.
L’intensità dell’innovazione delle piccole imprese è più elevata nel Manifatturiero esteso, con una quota del 53,3% e in aumento di 7 punti rispetto al 2014; seguono le piccole imprese dei Servizi con il 42,5%, in salita di 2,7 punti e quelle delle Costruzioni con il 29,7%, quota che rimane stazionaria (+0,1 punti).
Nel 2016 la spesa per l’innovazione delle piccole imprese ammonta a 7,8 miliardi di euro, con una prevalenza – pari al 44,2% della spesa totale, ampiamente superiore al 27,3% della media – per l’acquisizione di macchinari, attrezzature, software e fabbricati finalizzati all’innovazione. Nell’ultimo biennio sale la quota di spesa delle piccole imprese innovatrici per attività di R&S che raggiunge il 37,8%, in aumento di 7,7 punti rispetto al biennio precedente. A tal proposito va ricordato che le micro e piccole imprese realizzano una intensa attività informale di ricerca e sviluppo che nostri precedenti lavori hanno stimato arrivare al 19,1% dei costi aziendali.
I robot e la stampa 3D
Nel 2018 sono stati introdotti per la prima volta nel questionario della rilevazione annuale sottoposto alle imprese sull’utilizzo dell’Ict quesiti relativi all’utilizzo della robotica e della stampa 3D. L’esame dei dati evidenzia che nel settore Manifatturiero i robot sono utilizzati dal 19,3% delle imprese. L’utilizzo della robotica, che cresce al salire della dimensione aziendale, è rilevata nel 16,0% delle piccole imprese manifatturiere, stimabili in circa 9.500 piccole imprese tra 10 e 49 addetti robotizzate, di cui oltre un terzo (36,4% pari a circa 3.500 unità) sono imprese artigiane.
Sul lato dell’offerta, nel settore specializzato della Fabbricazione di robot industriali per usi molteplici a fine 2018 risultano registrate 154 imprese, per i tre quarti concentrate in tre regioni: al primo posto il Veneto con 60 imprese (39,0%), seguito da Emilia-Romagna con 28 imprese (18,2%) e Lombardia con 24 imprese (15,6%).
L’export: Italia prima nell’Unione europea
L’analisi degli ultimi dati disponibili relativi alle esportazioni manifatturiere dirette per dimensione di impresa indica che nel 2016 l’Italia è leader in UE per export diretto delle Micro e Piccoleimprese italiane con meno di 50 addetti che hanno venduto direttamente all’estero per 58,0 miliardi di euro, rappresentando un quarto (23,5%) delle esportazioni manifatturiere di queste imprese nei25 Paesi dell’Unione europea per cui sono disponibili i dati3 ed sono quasi il doppio dei 32,7 miliardi delle omologhe della Germania (13,2% del totale). A seguire, tali imprese in Spagnavendono all’estero per 21,5 miliardi di euro (8,7% del totale), nel Regno Unito per 16 miliardi (6,5%) e quelle della Francia per 11,5 miliardi (4,7%).
(Fonte Confartigianato.it)